Conseguita la Laurea in Medicina e Chirurgia in tempi relativamente brevi, riuscii in poco tempo a trovare una occupazione di cui avevo disperatamente bisogno. All’inizio mi cimentai nel Servizio di Guardia Medica a Casteraimondo e quasi contemporaneamente incominciai a svolgere il Tirocinio presso il Servizio di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di San Severino Marche ove ottime sembravano le possibilità di ottenere un incarico a tempo indeterminato. Poco più di un anno dopo mi fu conferito l’incarico di assistente in quel Servizio e l’evento coincise con la fine delle ristrettezze economiche e con le prime soddisfazioni professionali: ero dotato di una buona manualità e di una certa sfrontatezza necessaria per quel tipo di professione, inoltre mi veniva riconosciuta una naturale facilità negli approcci umani nei confronti dei pazienti ed anche dei colleghi e del personale paramedico.
La mia esperienza di anestesista non durò, però che quattro mesi: il lavoro mi sembrava troppo monotono e ripetitivo, il dover agire per così tante ore quotidiane in sala operatoria mi intristiva e soprattutto mi mancava il rapporto col paziente che nei miei anni di studio avevo sempre ritenuto di primaria importanza.
Serbo tanti bei ricordi di quel pur breve periodo, ma se questo raccontino mi è venuto in mente di scrivere è per ricordare un episodio di cui fui protagonista insieme all’infermiere di sala operatoria Pippo e ad una operanda signora che credo abitasse nelle campagne di Castelraimondo. Ci trovavamo nel breve corridoio che dava immediato adito alla sala operatoria, la signora distesa in una barella, Pippo alla sua sinistra con una flebo in mano ed io alla sua destra pronto ad infilarle in vena l’ago che sarebbe servito per iniettare le sostanze anestetizzanti ed altri eventuali farmaci.
Pippo era uno nutrito a pane e volpe, un carattere per niente docile, ma lo stimavo perché uomo d’esperienza e capace di darmi quella sicurezza di cui ha bisogno chi è alle prime armi, inoltre trovavo in lui una arguzia che me lo rendeva simpatico. La signora era ovviamente impaurita pur se l’ intervento che si apprestava a sostenere era di poca importanza e scevro da pericoli, fra i miei compiti c’era ovviamente quello di fare in modo che i pazienti conservassero la maggiore serenità possibile ed esordii con un poco alternativo: – Come va, signora?-
Il tono pacato di voce del carnefice ebbe il potere di far distendere le rughe della malcapitata e fu allora che quel volto mi apparve di persona conosciuta e realizzai di averla visitata, quando, malata,aveva chiesto, forse sei mesi prima, il mio intervento alla Guardia Medica di Castelraimondo, ove prestavo servizio, e all’incirca in questa maniera ricordammo l’accaduto:
-Ma noi ci siamo già visti!- Rinfrancata ella annuì.- Era una sera…- Ed ella quasi serena: -Sì- …anzi,era di notte…- Accennò un sorriso convinta di aver trovato un amico. A questo punto uno spiritello mi fece continuare: -…e non ci si vedeva!- Il terrore tornò negli occhi della signora e si accrebbe allorquando puntando i miei occhi dentro quelli di Pippo che mi stava di fronte ella ci sentì cantare in perfetto unisono: - …le cerque me parìa teche de fava!!-
Ino 21-01-2002 ore 0,40
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